Oggi un amico, che non vedo da anni, ha
postato una foto sul suo stato wathsapp.
Vedo un ventaglio di libri...leggo la
frase.
Mi metto allora a leggere i titoli,
perché forse ho capito male.
La foto è simile a questa mia.
E' stato come quando un caro amico ti
chiama per dirti che un amico comune è scomparso improvvisamente. E
tu non capisci subito. Esiti, e ripeti “come?... è morto?”.
Sì, è morto Luis Sepùlveda.
Sì, è morto Luis Sepùlveda.
Poi questo mio carissimo
amico, che i libri mi hanno fatto incontrare tanti anni fa, mi ha mandato la foto
di una pagina di un libro sottolineata da lui chissà quanto tempo fa.
Il libro è IL VECCHIO CHE LEGGEVA ROMANZI D'AMORE.
La pagina è la trentacinque.
La frase sottolineata è questa.
“Leggeva lentamente, mettendo insieme le sillabe, mormorandole a mezza voce come se le assaporasse, e quando dominava tutta quanta la parola, la ripeteva di seguito. Poi faceva lo stesso con la frase completa, e così si impadroniva dei sentimenti e delle idee plasmati sulle pagine”.
Che dono prezioso.
E' stato come se queste parole fossero
riemerse da un posto profondo di me.
Erano sedimentate lì dal '95, anno in
cui ho letto il libro.
Ed ora le ritrovo, le riconosco, e mi
dico che sono la carne della mia didattica della lingua, della “lingua
madre” che Luis Sepulveda chiamava “la patria”, l'unica vera
patria che ha una persona.
Addio Luis e grazie!!!