“Le parole fanno cose”,
nel mondo della Scuola è uno slogan celebre che viene utilizzato
quando si parla di inclusione. Deriva dal titolo di un'opera del
filosofo inglese John Austin in cui egli sosteneva che la parola è
capace di farci fare cose solo se nasce da un atto.
Anche la denominazione,
nel processo di territorializzazione di un territorio, ha sempre
connotato il potere sul territorio stesso. Ad esempio, la Serenissima
denominò il territorio che lei stessa aveva contribuito a costruire
con il Taglio di Porto Viro del 1604, assegnando alle nuove terre
emerse i nomi delle famiglie veneziane che ne divennero le
proprietarie, nomi spesso preceduti dalla particella “Ca'...” che
significa “casa” (Ca'Venier, Ca'Vendramin, ecc.). E quei nomi
divennero l'identità del territorio stesso. Identità formalizzata
dalle carte dell'epoca, dove compaiono, insieme alle parole, i
numeri, i conti, che parlano dell'interesse dei veneziani sul Delta.
Questa
relazione parola-cosa-potere, alle porte della Giornata della Memoria
di domani, mi porta alla memoria un passaggio da “I
sommersi e i salvati” di Primo Levi: “A
partire dall’inizio del 1942, ad Auschwitz e nei Lager che ne
dipendevano,
il
numero di matricola dei prigionieri non veniva più soltanto cucito
agli abiti, ma tatuato
sull’avambraccio sinistro. (...)
L’operazione
era poco dolorosa e non durava più di un minuto, ma era traumatica.
Il suo significato simbolico era chiaro a tutti: questo è un segno
indelebile, di qui non uscirete più; questo è il marchio che si
imprime agli schiavi ed al bestiame destinato al macello, e tali voi
siete diventati. Non avete nome: questo è il vostro nuovo nome.”
Il Giorno della Memoria,
nella scuola primaria, è rimasto forse l'unica occasione di parlare
di Shoah dopo che è stato stabilito che con il curricolo di storia
si arrivi alla caduta dell'impero romano.
Domani mattina, per
iniziare a parlare di Shoah con i miei bambini di classe prima,
leggeremo il noto albo illustrato di Tomi Ungerer, “Otto,
autobiografia di un orsacchiotto”.
La cosa che cominceremo a fare, sarà quella di imparare una concetto fondamentale che ci insegna il territorio che viviamo, cioè che “le parole fanno cose”.
La
parola-cosa-potere sarà STELLA, la
stella gialla cucita sul petto di David, amico inseparabile di Oskar
e dell'orsetto di pezza Otto, che è riuscita a separarli con la
crudeltà delle leggi razziali e con l'atrocità della deportazione.
Ma
le parole salvano, questa albo insegna anche questo. E così, la
storia (le parole quindi) di un vecchio anziano di nome Oskar, che ha
ritrovato il suo orsacchiotto in America in un negozio di un
rigattiere, finirà sui giornali di tutto il mondo e riunirà i tre
amici. David era sopravvissuto al campo di concentramento. L'albo
finisce con l'orsetto che sta scrivendo a macchina:
Decidemmo
di rimanere uniti e
cercammo
una casa per tutti e tre.
Finalmente
la vita è come deve essere:
pacifica
e normale.
E
per non annoiarmi ho cominciato a
scrivere
la nostra storia”
Le
parole fanno cose... anche memoria.