Ho concluso il post precedente (vedi qui https://lumagira.blogspot.com/2020/03/un-grande-giorno-di-niente-1-parte.html) dicendo che mi sarei
messa a seguire, come Hansel e Gretel, le “bricioline” lasciate
nel bosco dai bambini.
“Quando
qualcuno cerca qualcosa,
accade
facilmente che il suo occhio perda
la
capacità di vedere ogni altra cosa”
(in
“Siddharta” di Herman Hesse, ed. Adelphi, 2000)
Oggi è un giorno
importante perché è arrivato il momento di avviare il nostro
percorso che ci porterà, nell'arco dei cinque anni, a mettere le
basi della lettura territoriale e del paesaggio.
La prima lezione è
questa: imparare lo sguardo.
Ed inizio dal mio sul nuovo territorio-scuola che mi-ci troviamo a vivere.
Tutto deve essere
costruito considerando i nuovi fattori ed elementi del
“territorio-scuola”, che stiamo vivendo in questo momento di
emergenza sanitaria.
Prima del lancio del
percorso di questa mattina, con il consueto video LA STORIA DEL
BUONGIORNO, il giorno prima, è stato necessario ritessere con i
genitori prima (attraverso una lettera), e con i bambini poi
(attraverso un video), il senso di questo nuovo “fare scuola” che
vuole tentare di continuare un lavoro il più simile possibile a
quello che facciamo a scuola. Un lavoro quindi che non è un semplice
completare pagine, fare esercizi, ma un percorso educativo-didattico a
partire da una storia, che ci permetta di comunicare con noi stessi
e con gli altri.
Questa
che viviamo è una situazione a cui nessuno, in nessun settore della
vita era preparato. Non lo potevamo essere, perché è una condizione
che nessuno poteva immaginare se non vivendola, come i racconti dei
sopravvissuti dei campi di concentramento: nessuno li credeva veri
perché era qualcosa che andava oltre l'immaginabile.
E
neanche la Scuola e la famiglia, come sistemi fatti di singole
persone, sono preparati.
Mi
ha fatto molto pensare una cosa che ha detto un alunno in un video
postato sulla chat dei genitori di classe: “noi qui in campagna
siamo liberi” (cioè nelle piccole frazioni), rispetto agli
altri compagni che vivono nel paese dove c'è la scuola.
Ho
pensato con quanta semplice verità parlava del “punto
di vista” su questa situazione, come ciascuno di noi,
attori del gruppo-classe, bambini, genitori ed insegnanti, la sta
vivendo.
Ho
pensato a me che non ho nemmeno un giardino. Ho pensato ai bambini
che vivono nelle città che, spesso, non hanno neanche un terrazzo.
Ho pensato a chi è costretto ad andare al lavoro (magari in un
ospedale, casa di riposo, uffici pubblici, supermercati) e poi torna
a casa temendo per se stesso e di contagiare i suoi famigliari. Ho
pensato alle mamme con bambini piccoli, a chi ha quattro figli, ai
genitori che lavorano entrambi.
Poi
ho pensato a chi vive questo periodo come un tempo finalmente “umano”
in cui fare le cose che si amano, pensare un po' a se stessi, stare
con i figli. Ho pensato anche a chi fa fatica a stare con se stesso,
a chi vive una convivenza difficile e l'obbligo di stare tutti
insieme tutto il giorno, crea maggiori attriti.
Punti
di vista, appunto.
Allora
mi sono messa a pensare anche a ciascuno dei nostri bambini, a come
si sarebbe comportato a casa: a scuola c'è un ambiente, degli
insegnanti, un'organizzazione, delle regole, un ritmo. Tutti loro
vivono la scuola intensamente e con piacere: parliamo, riflettiamo,
ascoltiamo tutti, superiamo le difficoltà, facciamo esperienze, le
condividiamo, riflettiamo su di esse. Tutti loro lavorano molto, ma a
casa, cosa sta succedendo?
Come il territorio-scuola può trovare un proprio spazio nel territorio- casa?
In
tv, nei vari articoli che spopolano in rete, per praticità, si parla
di compiti: ecco, il problema è proprio questo, che si vorrebbe
cercare di “fare scuola” e non compiti.
E
il nostro fare scuola è una didattica “individualizzata”, a
ciascuno quello di cui ha bisogno. Ma ora l'individualizzazione
riguarda anche i genitori perché ciascuno vive la situazione a suo
modo, secondo la sua condizione personale, familiare e lavorativa, e perché la scuola è entrata in casa.
Il
Ministro Azzolina ha lanciato per la Scuola questo detto latino: “Ibi
semper est victoria, ubi concordia est” (P. Siro).
La mia personale
preoccupazione, in questo smarrimento collettivo, è quello che
queste parole siano interpretate aggrappandosi ai mezzi che ci
sembrano più globalizzanti, le piattaforme, ma che non possono
essere sinonimo di unione tra le persone.
C'è
uno slogan televisivo “#lontanimavicini” che sembra adatto alla
situazione scolastica: tradotto concretamente significa “farsi
prossimo”. Ma chi è il mio prossimo? Mi sono ricordata una lettura
di diversi anni fa.
Enzo
Bianchi e Massimo Cacciari in “Ama il prossimo tuo” (ed. Il
Mulino) fanno un'analisi teologica e filosofica della parabola del
buon Samaritano (Lc 10, 29-38). “Il prossimo è colui al quale io
mi faccio prossimo, è colui che
decido di incontrare, che rendo
vicino incontrandolo”. E prosegue Cacciari: nel racconto: “
“prossimo” cessa dall'avere qualsiasi riferimento “spaziale”.
Non designa uno “stato”, ma l'agire
di
colui che si
ad-prossima.
Prossimo
è chi si
fa prossimo”.
Quindi sono io che devo
avvicinarmi a chi ha bisogno.
Individualizzare
è, perciò, secondo me, farsi prossimo.
Allora mi sono chiesta, come riuscire ad “individualizzare” le attività in questo contesto?
Dunque,
ho deciso, dopo aver comunicato ai genitori le cose che ho fin qui
esposto, che l'indomani avrei mandato un video ai bambini dove la
lettura del buongiorno era sostituita da un discorso importante, “con
il tono affettuoso della verità che precede la verità cognitiva, la
verità che è nel seno della fiducia”(citazione
dall'intervento di Andrea Canevaro durante il convegno “Un nuovo
sguardo sulla disabilità...il deserto fiorito” - Rovigo 21/03/16)
che parlava di cosa è importante imparare a scuola (comunicare,
comprendere, pensare, scegliere, progettare), della fiducia, della
responsabilità e dell'autonomia.
Perciò
abbiamo stretto un patto in cui ciascuno si impegnava a progettare a
casa un proprio spazio/tempo scuola, e a rispettare.
Il territorio-scuola a
casa è stato delimitato dagli attori in modo partecipato.
Ora si riparte.